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Lectine, il lato oscuro della verdura


Se le teorie nutrizionali sono le più svariate e spesso contraddittore, tutte concordano su un punto, praticamente un assioma assoluto: la verdura fa benissimo senza se e senza ma, va mangiata tutta, a prescindere e in quantità smisurata.

Ne siamo proprio sicuri?

Steven Gundry dà il colpo di grazia alle nostre poche certezze. Non a caso, il suo bestseller, nella versione originale “The plant paradox”, in italiano è tradotto con un esplosivo “La verdura fa male!”. Possibile?

Gundry non è proprio l’ultimo arrivato nel campo della medicina. Cardiochirurgo, cardiologo e immunologo, pioniere dei trapianti infantili, ha al suo attivo più di trecento pubblicazioni sull’argomento ed è un esperto in particolare di immunologia dei trapianti e degli xenotrapianti, cioè quelli fra specie diverse. Insomma, ne sa.

Nonostante un’alimentazione in teoria corretta (biologica, integrale, niente cibo industriale, fast food e dolci) e la pratica regolare dello sport, era obeso e non riusciva a perdere peso. Spesso riscontrava una situazione analoga nei suoi pazienti cardiopatici.

Analizzando storie cliniche, esami di laboratorio e vari altri test eseguiti su di loro, si convince che al giorno d’oggi la maggioranza delle persone è in guerra con se stessa a causa della presenza di “disturbatori” nell’alimentazione, che agiscono con varie modalità ma prima di tutto a livello dell’intestino e del suo microbiota.

Individua fra questi disturbatori alcuni elementi che già conosciamo e non ci stupiscono: mangimi somministrati agli animali negli allevamenti intensivi, diserbanti a base soprattutto di glifosato, pesticidi, antibiotici e altri farmaci quali antiacidi e antinfiammatori non steroidei. Quello che però non è così scontato e va a scombinare tutte le nostre idee è che alcuni di questi elementi altamente nocivi sono presenti già in natura in molti vegetali, non solo cereali e legumi ma anche ortaggi e frutta.

Gundry ci spiega che nel corso di milioni di anni di evoluzione le piante hanno messo a punto sofisticati sistemi di difesa nei confronti dei predatori: insetti, animali e ovviamente umani. Alcune tecniche sono evidenti: spine, gusci coriacei, resine appiccicose, mimetismo per esempio; altre molto più occulte, basate sulla produzione di sostanze tossiche in grado di paralizzare o avvelenare piccoli predatori, ma comunque dannose anche per quelli di dimensioni maggiori. Poiché però si tratta di minimi effetti che avvengono a livello cellulare, le cui conseguenze si manifestano solo dopo anni di consumo, è molto difficile rendersi conto della connessione, se non verificando i benefici che derivano dalla sospensione degli alimenti incriminati.


Decisamente le più importanti fra le tossine vegetali sono le lectine. Vediamo quindi più nel dettaglio di che cosa si tratta.

Le lectine sono delle proteine che legano i carboidrati, ampiamente presenti in natura in una grande varietà di cibi quali cereali, frutta, verdura, prodotti animali e pesce. Una volta ingerite, si attaccano a vari zuccheri presenti nel corpo, in particolare polisaccaridi, disturbando la comunicazione cellulare; la loro tossicità peraltro è estremamente varia, da quella di alcune, come il ricino, talmente potenti che persino l’ingestione di minuscole quantità può risultare fatale, a quella di altre relativamente innocue.

Per inciso, non tutte le lectine sono dannose e, anzi, alcune di esse svolgono un ruolo terapeutico, per esempio nell’induzione della risposta immunitaria; alcune sono efficaci verso funghi, batteri, virus ed elminti e ci sono studi in corso sul loro potenziale uso in funzione antitumorale. Lectine presenti in alcune alghe, in particolare, si sono dimostrate attive verso vari virus quali epatite, influenza, herpes simplex, HIV e coronavirus.

Le lectine si concentrano nei semi, nelle radici e nelle foglie giovani. In genere le foglie ne contengono meno, sebbene sia una cosa che varia a seconda della pianta.

Le lectine che causano più spesso intolleranza sono:

- Lectine dei legumi: in media costituiscono il 15% delle proteine dei legumi

- Lectine delle cucurbitacee: linfa e succo di cetriolo, melone, zucca

- Prolamine, come glutine e gliadina

- Agglutinine o emoagglutinine, presenti nella soia e nel germe di grano, che causano agglutinazione del sangue.


Studi clinici e di laboratorio hanno identificato svariati meccanismi attraverso i quali le lectine possono danneggiare l’organismo. Vediamo i principali.

1) Danno della parete intestinale e comparsa di leaky gut syndrome (sindrome dell’intestino permeabile). Questo induce l’organismo ad un’aumentata esposizione ad antigeni sia batterici che alimentari, oltre ad interferire con l’assorbimento di vari nutrienti.

2) Stimolazione del sistema immunitario. Quando riescono a raggiungere il torrente ematico, la maggior parte delle persone sviluppa anticorpi nei loro confronti, che purtroppo in genere non solo non proteggono dal danno indotto dalle lectine, ma possono provocare la comparsa di malattie, in rapporto alla suscettibilità individuale. Un meccanismo responsabile è ad esempio il cosiddetto mimetismo molecolare: poiché la loro struttura chimica è molto simile a quella di proteine del nostro corpo, la reazione indotta nel sistema immunitario va a colpire anche i tessuti che le contengono. Inoltre aumentano l’infiammazione stimolando la produzione di interferone gamma, interleuchina IL-1 e TNF-alfa.

3) Danno del microbiota intestinale. Le lectine influenzano la composizione batterica intestinale e possono causare disbiosi, a sua volta predisponente a processi autoimmunitari. Il meccanismo con il quale si verifica questo danno è molto complesso e tuttora compreso solo in parte.

4) Crescita cellulare anomala: le lectine possono causare aumento e sovracrescita cellulare in vari tessuti, inclusi intestino, pancreas e fegato.

5) Interferenza endocrina: varie lectine hanno la capacità di interagire con i recettori cellulari, per esempio quelli ormonali, stimolandoli o bloccandoli. Guarda caso, l’agglutinina del germe di grano WGA (Wheat Germ Agglutinin) assomiglia moltissimo all’insulina, al cui recettore si aggancia in modo più stabile, determinando una serie di conseguenze a livello muscolare, neuronale e l’accumulo incontrollato di tessuto adiposo.

6) Obesità: alcune lectine, in particolare la solita WGA, favoriscono l’aumento di peso. Storicamente questa è stata anche una delle ragioni della maggior diffusione del grano nei paesi nordici, poiché il facilitare l’accumulo di grasso per i nostri antenati, alle prese con ricorrenti periodi di carestia, era un aspetto molto vantaggioso. E non a caso le lectine dei cereali e della soia con i quali vengono foraggiati gli animali negli allevamenti intensivi li portano ad ingrassare molto di più di quanto avvenga con la naturale alimentazione ad erba.

7) Neurodegenerazione: nei nematodi, le lectine possono essere trasportate dall’intestino ai neuroni dopaminergici, nei quali danneggiano la regolare funzionalità, cosa che suggerisce un possibile legame con la malattia di Parkinson.

A differenza di gran parte delle proteine animali, le lectine sono parecchio resistenti al calore e anche la cottura non le inattiva se non avviene almeno a 100° per oltre trenta minuti.


Nel corso dell’evoluzione però anche noi “predatori”, animali e umani, abbiamo sviluppato delle difese nei loro confronti:

1) Mucopolisaccaridi del muco e della saliva, che intrappolano le lectine. Per questo viene prodotto più muco per esempio in reazione a un cibo ricco di peperoncino.

2) Acido gastrico, in grado di digerire alcune lectine.

3) Microbiota orale e gastrico, la cui composizione si modifica adattandosi al tipo di lectine introdotte. Se per esempio si smette di introdurre il glutine, i batteri che lo metabolizzano muoiono e se lo si assume inavvertitamente insorgono disturbi importanti che prima non si manifestavano. Il nostro microbiota si è sviluppato per digerire alcune lectine, in particolare quelle delle piante dicotiledoni, ma non quelle monocotiledoni, in particolare i cereali.

4) Muco del tratto digerente, i cui zuccheri catturano e assorbono le lectine.


Se la quantità di lectine introdotta non è eccessiva, queste barriere riescono a gestirla e a difendere la parete intestinale. Tuttavia, in presenza di altri fattori indebolenti o di un carico eccessivo, esse possono arrivare ad interagire con recettori specifici della parete intestinale, inducendo la sintesi di zonulina. La zonulina è una proteina in grado di regolare in modo reversibile la permeabilità intestinale, modulando le giunzioni fra le cellule dell’epitelio, verosimilmente come meccanismo di difesa per presentare gli agenti irritanti alla risposta del sistema immunitario innato, facendoli entrare nel torrente circolatorio, ma purtroppo scatenando una reazione infiammatoria a catena.


Ma perché l’uomo, pur convivendo con queste sostanze da millenni, solo ora manifesta in modo così drammatico i sintomi dei danni che esse provocano?

Gundry identifica quattro cambiamenti nell’alimentazione che corrispondono a radicali differenze nell’apporto di lectine e che hanno coinciso con un drastico peggioramento della salute umana:

  1. La rivoluzione agricola di circa diecimila anni fa, grazie alla quale vennero domesticate varie piante, fra le quali cereali e legumi. Esse da un lato fornirono più abbondanza e disponibilità costante di cibo, ma dall’altro indussero la comparsa di malattie prima sconosciute, quali il diabete, il sovrappeso, l’aterosclerosi e le carie.

  2. Una mutazione spontanea avvenuta nelle mucche circa duemila anni fa nel Nord Europa, in seguito alla quale la caseina predominante nel latte divenne la A1, che nel processo digestivo si trasforma in betacasomorfina, simile come struttura alle lectine, che si lega alle cellule beta pancreatiche e induce l’attacco del sistema immunitario verso di esse, contribuendo allo sviluppo del diabete di tipo I. Sebbene alcune razze bovine continuino a produrre latte con caseina A2, così come le pecore e le capre, la maggior parte degli allevatori preferisce le altre, con produzione più abbondante.

  3. Con i viaggi di Cristoforo Colombo furono importate negli altri continenti piante mai entrate prima nell’alimentazione e per le quali il microbiota è piuttosto impreparato (nell’evoluzione cinquecento anni sono un battito di ciglia!): molti legumi, arachidi, anacardi (anch’essi legumi!), cereali e pseudocereali come mais, quinoa, amaranto, cucurbitacee, solanacee come pomodori, patate e peperoni.

  4. L’alimentazione moderna ci espone a quantità molto più elevate di lectine: si fa ad esempio un uso più ampio di materie prime che le contengono nei cibi industriali (mais, grano, soia ad esempio); negli organismi geneticamente modificati ne vengono inserite di più volutamente, per aumentare la resistenza ai parassiti; la frutta che viene raccolta ancora acerba mantiene tutto il suo contenuto di lectine. Inoltre, l’uso di antibiotici, farmaci e sostanze chimiche hanno distrutto o indebolito i batteri protettivi del nostro intestino. Quindi, da un lato l’apporto di lectine non è mai stato così alto nella storia umana, dall’altro noi abbiamo dei sistemi di difesa gravemente carenti rispetto al passato.


In che cosa consiste la dieta senza lectine?

In sintesi, nella fase principale sono vietati cereali e pseudo cereali, i legumi (inclusi piselli e fagiolini), soia e derivati, semi di zucca, girasole, chia, arachidi, anacardi; tutti gli zuccheri e i dolcificanti artificiali, carni da allevamento intensivo, pesce d’allevamento e pesci di grande taglia (pesce spada, cernia, tonno ecc.), latticini di mucca (escluso il ghee). Fin qui, molto simile alla paleo dieta, ma in più vanno evitati: frutta, incluse solanacee (pomodori, peperoni, peperoncino, melanzane, bacche di goji) e cucurbitacee (zucche, zucchine, cetrioli); tutti i tuberi. Vietati anche gli oli vegetali ad eccezione dell’olio EVO e dell’olio di cocco.

A differenza della paleo sono ammessi con moderazione i latticini di capra e pecora, specie la ricotta di solo siero; fra la frutta, frutti di bosco, fragole, ciliegie, melograno, kiwi, mele, prugne, albicocche, fichi, datteri, pere.

Consentiti senza limitazione tutti gli altri ortaggi, grassi quali avocado, olive, olio EVO, olio di cocco, olio MCT, ghee; uova bio o da galline ruspanti fino a 4 al giorno, pesce pescato di piccola taglia e salmone selvaggio, molluschi, crostacei. La carne bovina grass fed non più di una volta a settimana, pollame e altre carni bio (pollo tacchino anatra oca piccione quaglia selvaggina maiale ecc) a piacere, maiale e agnello solo saltuariamente.

Permessi anche caffè, tè, tisane; fra la frutta secca: noci, pistacchi, macadamia, pecan, cocco e derivati incluso latte, yogurt e panna, nocciole, castagne, semi di lino, di canapa, noci brasiliane, pinoli. Per smentire il mainagioia sono ammessi i nostri amati spaghetti shirataki, il cioccolato fondente minimo 75% e un bicchiere di vino rosso.

La prima fase va seguita almeno per sei settimane, poi si passa alla seconda, nella quale si può provare a reintrodurre alcune lectine, valutando la risposta dell’organismo. Si tratta di uno stile di vita che Gundry raccomanda per sempre.

Si comincia introducendo poco per volta ortaggi che contengono lectine, come zucchine e cetrioli; se questi sono ben tollerati si possono aggiungere pomodori e peperoni privati di pelle e semi. In seguito si può provare ad aggiungere piccole dosi di legumi cotti in pentola a pressione, che inattiva le lectine in questi alimenti (ma non in tutti, in particolare nei cereali con glutine!). La zucca va sbucciata e privata dei semi e in ogni caso ricordiamoci che si tratta di frutta, che può favorire la tendenza all’accumulo di peso.

A questo punto, e sempre dopo alcune settimane, è possibile reintrodurre con molta moderazione del riso basmati bianco, che contiene la più alta quota di amido resistente e quindi è un cibo probiotico e con un indice glicemico inferiore, sebbene sia sempre sconsigliabile se c’è l’obiettivo del dimagrimento. Altri cereali e pseudocereali senza glutine vanno necessariamente cotti in pentola a pressione; fanno eccezione sorgo e miglio che non contengono lectine e possono essere consumati liberamente.

Le proteine animali vanno ridotte a non più di cinquanta grammi al giorno (corrispondenti per esempio a 250 gr di salmone selvaggio, oppure due uova e 150 gr di petto di pollo, o 200 gr di ricotta di siero e 150 gr di manzo). Manzo, maiale e agnello vanno limitati per evitare di introdurre troppa Neu5Gc (N-glycolyneuraminic acid), una particolare molecola della famiglia dell’acido sialico, presente nella parete dei vasi sanguigni di questi mammiferi. La Neu5Gc è dotata di mimetismo molecolare nei confronti di quella, simile ma non identica, che si trova invece nei nostri vasi e che è denominata Neu5Ac. In sostanza, l’introduzione della Neu5Gc può scatenare una reazione autoimmune verso il nostro sistema cardiocircolatorio, responsabile di infiammazione a livello vascolare e di possibili effetti promotori della cancerogenesi. Sembra inoltre che questa molecola, che viene espressa anche da cellule tumorali umane, possa stimolare la produzione di un fattore di crescita dell’endotelio vascolare (VEGF) che ne favorisce l’invasività.


Che cosa penso del protocollo proposto dal dottor Gundry?

Mi sembra che abbia molto senso e possa spiegare la mancata risposta di parecchie persone a regimi alimentari apparentemente corretti. Sostenere che i cereali integrali sono veleno al giorno d’oggi pare un’eresia, eppure la mia pratica clinica mi conferma che spesso l’intestino non li tollera e lo stato infiammatorio non si risolve senza eliminarli completamente. Del resto, paleo dieta e dieta chetogenica ci hanno già abituati a considerare i cereali un cibo non troppo amico e il dogma della loro insostituibilità nella dieta è stato sfatato già da molto tempo. Discorso analogo per i legumi, per i quali tuttavia rimane una possibilità aperta, a patto di cucinarli in pentola pressione e valutando ovviamente la risposta individuale. Se la pancia si ribella, lasciamo stare senza insistere.

Concordo completamente con le avvertenze legate al consumo di carne e latticini.

Per quanto riguarda frutta e verdura, anche qui le sorprese non sono eccessive: come in paleo e in chetogenica la frutta va limitata in modo drastico e casomai quello che può sorprenderci è che siano inclusi nella categoria ortaggi quali pomodori, zucchine, melanzane, cetrioli e zucche. Dal punto di vista botanico non fa una piega, sono tecnicamente frutti.

Rimangono alcuni semi; in particolare su quelli di chia, ricca fonte di omega tre, fibra, proteine, polifenoli, antiossidanti e mucillagini, esiste una ricca bibliografia che li classifica come cibo funzionale, dotato di proprietà molto favorevoli su profilo lipidico, pressione ematica, circonferenza addominale; peraltro, non mancano lavori che invece le smentiscono. È sicuramente un prodotto molto interessante per l’industria alimentare, sia per la possibilità di estrazione di un olio ricco di PUFA, sia per la possibilità di trasformarlo in farina o in gel. Tuttavia, è un alimento che almeno per noi europei è di introduzione molto recente e al quale il nostro microbiota non ha avuto il tempo di adattarsi. A mio avviso l’approccio più sensato è di evitarlo completamente nella prima fase e poi introdurlo in modo molto cauto, valutando le reazioni soggettive. Discorso analogo per i semi di zucca, utili per il trattamento della vescica iperattiva e dell’ipertrofia prostatica, dotati di attività antiparassitaria e ricchi di acidi grassi saturi e insaturi, zinco e altri minerali, antiossidanti, carotenoidi, vitamina C e vitamina E. Per quanto riguarda i semi di girasole, dato il loro alto contenuto di acido linoleico, acido grasso polinsaturo della serie 6 e quindi infiammatorio, non sono un alimento che conviene utilizzare. In ogni caso, il problema delle lectine è molto connesso alla loro quantità, quindi è molto più rilevante per alimenti di cui si fa ampio uso quali cereali, legumi e latticini più che per semi che di solito vengono consumati saltuariamente.

Per approfondire consiglio:


Gundry SR. La verdura fa male! Piemme, Mondadori Libri, Milano 2018

Köttgen E et al. The lectin properties of gluten as the basis of the pathomechanism of gluten-sensitive enteropathy. Klin Wochenschr. 1983 Jan 17;61(2):111-2

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